domenica 26 settembre 2010

"Ma vaffan...bicchiere".

Santoro non le manda a dire a Masidi
Mariano Sabatini

Tagliamo la testa al toro. I problemi sollevati dal direttore generale della Rai e soffiati in faccia come calce a Michele Santoro, alla redazione e ai collaboratori di "Anno Zero" (dal giovedì sera, di nuovo fortunosamente in onda su Raidue) hanno natura politica. Non nascono dalle divergenze di gusto televisivo né dalla diversa concezione del giornalismo, come ci si attenderebbe dal capo di un’azienda televisiva pubblica tra le più grandi d’Europa.Quelle obiezioni e richieste sembrano, e sono, un losco e neppure troppo celato tentativo di censura preventiva. Santoro – l’anchorman di “Samarcanda” e il “Rosso e nero”, badate bene, non il capocronista dell’Eco di Topolinia – dovrebbe concordare gli ospiti, consegnare la scaletta prima della messa in onda, prevedere un contraddittorio garantista per il “giustizialista” Marco Travaglio. Questo perché secondo il gran visir della Rai le trasmissioni di approfondimento devono fare salva la pluralità dei punti di vista. Benissimo.Gli approfondimenti, sì… e i telegiornali no!? Se, infatti, il direttore del Tg1 interrompe il flusso delle notizie per fare approfondimento coi suoi famigerati editoriali viene considerata libera espressione giornalistica, al contrario, se ad “Anno Zero” Travaglio fa il suo pezzo, al settimo piano di viale Mazzini il dg si strappa i capelli superstiti e dissemina trappole. Qualora all’editoriale di Travaglio dovesse far seguito quello di Sgarbi, per coerenza dopo Minzolini dovremmo sorbirci De Gregorio o Padellaro. E Dopo l’intervista a Grillo, dovremmo cedere il microfono a Martufello? Dopo le incursioni di Crozza sarebbe il turno di Pippo Franco? Non scherziamo.Nella Rai dei Minzolini, i Santoro hanno vita peggiore di Fantozzi e Filini al cospetto del mega-direttore-galattico-gran-figl-di-put. Masi ha però fatto i conti senza l’Orco, senza valutare la slavina dell’ira santoriana. Nell’anteprima di “Anno Zero”, ieri sera, il giornalista ha scelto di usare la metafora dei bicchieri e del controllo qualità del prodotto che qualsiasi azienda fa al termine della filiera, e non prima. La requisitoria si è conclusa con un “ma vaffan… bicchiere!” all’indirizzo di chi vorrebbe mettersi di traverso. Leggi Masi.Qualsiasi azienda televisiva dotata di sana dirigenza, prima fra tutte Mediaset (dove Santoro ha ricordato di aver lavorato tre anni senza ingerenze), spianerebbe il Colosseo con i picconi per accaparrarsi un programma dagli ascolti e i relativi ricavi pubblicitari di “Anno Zero”. In Rai lo mandano in onda costringendo i realizzatori a dirottare gli spot di lancio su Current (Sky). Grazie, Al Gore, per la lezione di libertà! Santoro e “Anno Zero” sono di gran lunga un plusvalore per la tv pubblica, dieci metri sopra il cielo di tutti gli altri talk show attualmente in onda su tutte le reti.L’inventore della piazza televisiva dà voce a quello che una volta si chiamava paese reale – lontano da quello dei balocchi che ci mostra il Tg1 ad ogni edizione – e lo mette al confronto coi politici che hanno gli attribuiti per fronteggiarlo. I politici ospiti di “Anno Zero” sanno che non potrebbero mai, come accade a “Ballarò” o a “Porta a porta”, deviare a loro piacimento l’andamento del dibattito.Santoro è un giornalista di peso, ha una tesi e non la nasconde, consente ai telespettatori di collocarsi pro o contro la sceneggiatura che solo lui è in grado di srotolare. Piaccia o no, ed entrambe le fazioni sono ampiamente rappresentate, il suo è un giornalismo d’autore, pregevole in quanto si assume la responsabilità di collocarsi tra gli oppositori del sistema. Cosa che di recente (pensando anche al caso Brachino, sospeso per due mesi per la brutta vicenda del giudice Mesiano) non va più tanto di moda trai professionisti dell’informazione radiotelevisiva

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